lunedì 20 febbraio 2012

La mia natura è il fuoco

Come tutte le domeniche, anche ieri sera abbiamo letto insieme ai bambini la vita di un santo. Nonostante non sia proprio da calendario (la ricorrenza è il 29 aprile), La Sartina ha insistito perché leggessimo la storia di Santa Caterina da Siena, una santa che ci è particolarmente cara.
Caterina era la venticinquesima figlia di Lapa e Jacopo Benincasa, una famiglia di tintori, che viveva nella città di Siena. Insieme a lei la madre aveva dato alla luce un’altra bambina, Giovanna, che però morì poche ore dopo. Quando aveva età di sei anni Caterina, mentre tornava dalla messa insieme a suo fratello Giacomo vide, sopra la chiesa dei domenicani, Gesù seduto su un trono, vestito da papa, e con Lui gli apostoli Pietro, Paolo e Giovanni. Questa esperienza segnò tutta la sua vita: da quel momento decise di rivolgere occhi e cuore a Dio, facendo sempre la Sua volontà. Decise così di dedicargli tutta la sua vita, e quando, diventata più grande, i suoi genitori cercarono di farla sposare, si oppose decisamente, e per dimostrare che non avrebbe cambiato idea, si tagliò i bellissimi capelli, accettando serenamente la punizione che le inflisse la madre, diventando serva nella sua stessa casa.
Mentre serviva la tavola, dopo aver lavato i panni e sbrigato tutte le faccende nella grande casa, Caterina era serena e lieta, perché ripeteva a se stessa: “sto servendo la Sacra Famiglia: papà è Nostro Signore, la mamma la Santa Madre di Dio, i miei fratelli sono gli apostoli e i dipendenti sono i discepoli.” Non aveva più nemmeno una sua camera dove ritirarsi, nei brevi momenti di riposo, ma doveva dividere la stanza con il fratello Stefano, che si lamentava così: “ogni volta che mi sveglio, la trovo inginocchiata in un angolo, e certo non si può dormire inginocchiati. Non è divertente passare la notte in una specie di cappella, ed è così che ha trasformato la mia stanza. A volte sembra quasi di sentire l’odore dell’incenso”.
Tutto ciò durò per poco tempo: un giorno il padre di Caterina entrò nella sua stanza e vide la ragazza inginocchiata nel suo angolo, con le spalle rivolte verso di lui. Sulla sua testa volava una colomba bianca, che al suo ingresso tracciò un breve cerchio e volò via dalla finestra. Da quel momento decise di non intralciare più la vocazione di sua figlia, che poco tempo dopo fu ammessa all’ordine domenicano delle mantellate. Si trattava di suore votate alla povertà, obbedienza e castità, che non vivevano in convento, e si occupavano di malati e bisognosi. La badessa aveva dei dubbi sulla vocazione di Caterina, e pensava che sarebbe stato difficile per una ragazza, bella e giovane, assolvere ai compiti della vita di privazioni che si era scelta. Quando però aveva visitato Caterina, prima di ammetterla nel suo ordine, la ragazza giaceva a letto con la varicella, e trovandola coperta di pustole, con il capo rasato, il corpo macerato dal digiuno e illividito dalle veglie, accettò di accoglierla per la vestizione e la pronuncia solenne dei voti. Caterina guarì di colpo, e nel pomeriggio di una domenica di aprile, davanti all’altare maggiore della chiesa di San Domenico, ricevette, alla presenza della badessa e delle sorelle della penitenza, il velo e il saio bianchi, simbolo dell’innocenza; la cinta di cuoio e i sandali e il lungo mantello nero, simbolo di umiltà. Era di una bellezza radiosa.
Il confessore di Caterina, Frà Tommaso della Fonte, descrisse così i successivi anni della sua vita: “per tre anni, quella vergine aprì bocca solo per confessarsi e per pregare. Non parlava più con nessuno. Usciva di casa solo per salire alla cappella”. Digiunava a pregava, dicendo che non voleva “lasciare solo il Signore”, vegliando inginocchiata sulla nuda terra. Raccontava che Gesù le appariva nell’immaginazione, e che la sua presenza era “tanto reale e vicina che mi sembrava di sentirne la voce”.
Caterina racconterà poi che Gesù spesso si recava da lei, e le parlava e durante uno questi momenti le aveva donato un anello nuziale, con tre perle ed un diamante. Caterina diceva di vedere l’anello brillare al suo dito, e di sentirne persino il peso: da allora era diventata vera sposa di Cristo. Poco dopo la sua unione con il Signore si fece ancora più grande: il confessore di Caterina ci riporta questo racconto: la santa vide il Signore Gesù avvicinarsi a lei, e toglierle il cuore dal petto. Dopo tre giorni, mentre si trovava a pregare nella chiesa di San Domenico, Gesù la raggiunse di nuovo, e mise nel suo petto un cuore nuovo, lo stesso Suo cuore. “Da questo ardore, dentro di me nasce una forza di purezza e di umiltà tutta nuova, che mi pare di essere tornata bambina. E provo tanto amore per il prossimo, che con grande felicità del cuore e della mente vorrei morire per lui.” Da allora Caterina lasciò la solitudine della sua cella e decise di percorrere le strade di Siena. Andava tra la gente, chiedeva elemosine, e distribuiva cibo a vedove ed orfani. Curava gli infermi nelle case e negli ospedali. Era stremata dai digiuni, ma una forza sorprendete la sosteneva non appena affrontava le innumerevoli rampe di Siena per raggiungere i derelitti e gli emarginati che vivevano nelle nicchie scavate dentro le mura, o in capanne di fango e di paglia.
In questo periodo cominciò a riunire intorno a sé i primi “discepoli” chiamati, per scherno, “caterinati”. Insieme ad alcuni di loro intraprese diversi viaggi per l’Italia, cercando di portare la pace tra diverse città, come Pisa e Firenze, che in quell’epoca erano tormentate da continue guerre e ribellioni. Dove non poteva arrivare lei, inviava le sue lettere, che raggiungevano i potenti di quel tempo,e anche tanti religiosi, che Caterina incitava a intraprendere la strada della pace, e a convertirsi alla fede in Gesù.
Tornata a Siena, aveva trovato la città invasa dalla peste, una grave malattia che faceva moltissime vittime. Si mise subito a disposizione degli ammalati, e quando anche il medico dell’ospedale di Siena cadde ammalato, chiese di poterla vedere. Giunta di corsa nella sua stanza, lo rimproverò, dicendogli che non era quello “il momento di star caldi nel letto”. Al suono della sua voce il dottore era balzato in piedi, completamente guarito, ed aveva subito ripreso il suo lavoro.
In quei giorni anche il papa, che non viveva a Roma, ma ad Avignone, in Francia, per paura di essere colpito dalle battaglie che c’erano allora in Italia, chiese il suo aiuto, inviandole un suo messaggero, che le chiese di pregare per il Santo Padre e la Chiesa. Caterina iniziò ad implorare al papa Gregorio XI di fare rientro a Roma e si recò lei stessa ad Avignone, restando lì finché il papa non si decise a partire per Roma.
Fu proprio a Roma che, qualche anno dopo, Caterina morì, dopo che per mesi ogni mattina era andata a S.Pietro a pregare per la pace. Sul suo corpo comparvero, dopo la morte, segni scuri sulle mani e sui piedi, come se fossero stati colpiti, trafitti. Erano le stigmate, le stesse ferite che aveva ricevuto Gesù sulla croce, che Caterina aveva ricevuto a Pisa ed erano rimaste invisibili fino alla sua morte.
Il sacerdote che celebrò il suo funerale, durante la predica disse: “dovremmo celebrare la morte di Caterina con canti di gioia, non con lacrime” poi crollò, e si mise a piangere. Dopo un attimo riuscì a continuare: “Simone di Cirene portò la croce di Cristo nostro Signore per un breve tratto: Caterina da Siena ha provato a portarla per tutta la vita”.
Questo racconto è frutto della mia lettura del bellissimo libro di Louis De Wohl, “La mia natura è il fuoco”, BUR, Milano 2007.
Nell'area Download è possibile scaricare il testo di questo racconto, e la versione integrale, da cui è tratta.

3 commenti:

  1. l'ho letto anch'io. E' bellissimo, come daltronde anche glia altri libri di Louis De Wohl, che trattano vite di santi.

    Grazie.

    Io ho solo tre figlie 22,21 e 18 anni. Tra poco mia sorella partorirà il quarto figlio e con questo nipotino i miei genitori avranno ben 12 nipoti, 8 femmine e 4 maschi

    ciao

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  2. Concordo, è bellissimo!

    Ciao Cristina, sei forte! :)

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