martedì 13 marzo 2012

Identità impersonale

Foto Titolo Blog“Entro nel teletrasportatore (…) Lo scanner distruggerà il mio cervello e il mio corpo, registrando nel contempo lo stato preciso di tutte le mie cellule e trasmetterà questa informazione via radio. Poiché il messaggio viaggia alla velocità della luce, ci vorranno pochi istanti perché raggiunga il replicatore, che utilizzando nuova materia creerà un cervello e un corpo perfettamente uguali ai miei. In questo corpo mi sveglierò”. (Derek Parfit, Ragioni e Persone, Il Saggiatore, Milano 1989, p.257)

Lo ammetto, mi piace Star Trek, sono una fan del Dottor Spock, e mi piaceva anche il Dottor McCoy, però qui la questione è molto più seria. Dopo il post della scorsa settimana, Come dar loro torto?, in cui mi sono sfogata in modo - almeno per me - soddisfacente, contro i due cervelli in fuga che dall'Australia ci hanno dimostrato (anche se non pretendono, poi, di avere ragione) che uccidere un neonato è moralmente accettabile (almeno quanto un aborto), mi dispiace per chi mi legge, ma ho pensato che non mi posso fermar qui.
Anche solo per quanto mi fa star bene, intendo continuare a raccontare di teorie folli, e folli "pensatori" (che non mi piace chiamarli filosofi, la categoria è già sufficientemente in crisi), i quali, come niente, tra un caffè e una brioches, arrivano pensare (e a dire!) abberranti assurdità. Che noi non ce ne accorgiamo, ma piano piano, come le supposte di vaselina, certe idee penetrano, e poi le conseguenze fan male! Per esempio: cosa vuol dire mettere in dubbio che tutti gli esseri umani, in quanto tali, siano persone (individui cioè soggetti di diritti e doveri), come fa il caro Tooley, da cui i ricercatori australiani hanno gentilmente preso in prestito la definizione di persona, così da giustificare, in un sol colpo, aborto e infanticidio? Per loro, una persona è tale solo se ha autocoscienza ed aspettative per il futuro, caratteristiche specifiche, che un neonato non soddisfa (e un maiale adulto, o un picchio - per l'amico Berlicche - invece sì). Ma c'è di peggio!
Sto parlando di Derek Parfit, autore delle rige sopra citate, incipit della terza parte di un importante tomo (non riesco a capire come mai, a suo tempo, ne trovai decine e decine di copie nel compianto Remainders di Galleria Vittorio Emanuele – con gran vantaggio, economico, per me. Possibile però che non se ne distribuisca almeno una copia gratuita a tutti gli studenti di medicina, filosofia, giurisprudenza, tutti coloro, insomma, che in qualche modo potrebbero, in futuro, prendersi il disturbo di occuparsi di questioni bioetiche? Vabbè…) che proprio del concetto di identità personale si occupa, e con grande attenzione!
Il nostro Derek, dicevamo, si immagina la possibilità effettiva di emulare il capitano Kirk (anche se penso che nell’Enterprise non si giocasse alla dissoluzione e ricreazione - loro erano persone serie e avevano trovato il modo di trasferire la materia - ma prendiamola per buona), e si chiede: ma la persona che esce dal teletrasportatore, sono io oppure no? La domanda, quando la incontrai per la prima volta, mi parve interessante, anche se io credo che la maggior parte degli esseri pensanti (almeno di mia conoscenza) non ci metterebbe neanche piede, in quel teletrasportatore. Anche perché, metti che mancasse l’energia proprio sul più bello (che coi tempi che corrono è una ipotesi più che plausibile), come la mettiamo? Che capacità di memoria ha l’unità di backup? Ci stanno tutti i miei trentaxxx anni?
Eppure, tutti quelli che condividerebbero l'idea che venir smaterializzati e poi “ricreati”, in base alla lettura fedele e minuziosa di corpo e cervello, non è proprio il modo ideale per iniziare una vacanza, sono vittime di enormi pregiudizi sulla concezione di sé.
Il professor Parfit, infatti, con questo esempio ci dice che tutti i nostri pensieri, ricordi, desideri, sensazioni, e chi più ne ha più ne metta, non sono altro che tracce mnestiche  (prodotti dalle cellule cerebrali un po’ come lo stomaco produce i succhi gastrici, via!). Non esiste, ci conforta, un io che "tiene insieme" i pezzi, esistono solo degli elementi, che combinati secondo la sequenza opportuna, danno quella che io considero la mia persona.
In questo modo, il corpo risulterebbe l'hardware, tutto il resto software. Possiamo cambiare gli elementi, installare e disinstallare software (prima o poi la tecnica ce lo permetterà…), ed ecco che abbiamo eliminato tanti problemi della vita. Anzi, a pensarci bene, abbiamo eliminato IL problema della vita. Perché a ben vedere, se io non esisto (cioè, come afferma Parfit, se esiste solo un aggregato di pezzi, come un mucchio di sassi, che non fa una montagna), perché dovrei temere la mia stessa morte? Si tratterebbe, in fondo, solo dello spezzarsi di una serie di connessioni, nulla di più.
Ecco perché la domanda “ma chi esce dal teletrasportatore, io o un altro?” non è una vera domanda (non c’è risposta corretta, mi dispiace per chi ci ha provato!), perché non è interessante sapere chi esce da lì. Lo stesso pronome “chi”, infondo, è fuorviante.

Ricapitoliamo: il caro Derek ritiene che la persona sia più o meno come una nazione, infatti, se anche le nazioni esistono  e sono distinte dalla somma di cittadini viventi sul proprio territorio, non sono comunque entità esistenti separatamente, indipendentemente dai cittadini e dal territorio. Una bella guerra civile, un pacifico colpo di stato, una diversa distribuzione del territorio, magari la concessione di qualche autonomia regionale. Cambiamo anche la bandiera e l’inno nazionale, non siamo avari! Questa è la morte.
Confortante, no? Ma non illudiamoci: la logica conseguenza non sarebbe un delirante "carpe diem", per cui ciascun istante del supposto "me" può sentirsi libero di far quel che gli pare e piace. Anzi, varrebbe comunque la pena di smettere di fumare! Certo, la sigaretta di oggi non può farci alcun male, nell’immediato. Ma vuoi mettere la gratitudine del nostro “io futuro”, se cerchiamo di trasmettergli un corpo non proprio sfatto? Il risvolto etico, poi, è ancora più interessante: il mio io futuro mi dovrebbe interessare tanto quanto mi interessa il mio vicino di casa, e dovrei portare il medesimo rispetto ad entrambe. Anche se mi stanno tutti e due un po' antipatici.

Io, per non sbagliare, mi chiedo pubblicamente scusa fin da ora. E se non riesco a mettermi a dieta, prometto che mi compro una bella pianta da appartamento, da recapitarmi tra vent’anni. Così, per fare pace…

PS: questo Post non ci sarebbe, se non ci fosse stato Max. Quante ore a “lavorare” insieme su questi amabili argomenti... Chissà come se la ride, adesso che, dov’è, vede tutto chiaro! Davvero non c’è da temere, perché il nostro io è già tutto salvato!!

1 commento:

  1. Sembra che talune persone vogliono complicare delle cose semplici. Questi temi esistenziali bisogna saperli prendere con le pinze. Tutto sommato io credo molto nell'anima. Ma alla fine non è molto importante come ci si vede, finché non diamo importanza a COSA facciamo e PERCHE'.
    (considerazioni a caldo)

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