giovedì 12 giugno 2025

Non esco più di casa

 30 ottobre 2020. 

L'ultimo post pubblicato ha quella data lì... 30 ottobre 2020.

In quel post non c'è scritto, ma proprio in quei giorni sviluppavo un pensiero, che avrei anche poi messo nero su bianco in quelle pagine che scrivo (in realtà forse dovrei dire scrivevo, perché mi succede sempre più raramente) solo per me. Insomma, avevo fatto un pensiero che ricordo mi era partito come un puntolino piccolino, una ipotesi tra le righe, e poi l'avevo sentito allargarsi proprio nel petto, superando pian piano i limiti del mio corpo e si era espanso. Si era espanso fino ad un certo punto occupare gran parte dello spazio dentro di me. E pure quello fuori. Era diventato un pensiero pervasivo, che incontravo sulle scale di casa. Saltava fuori dai pensili della cucina, dalla porta del guardaroba, da sotto il divano. E io allora l'ho scritto, senza capire se lo scrivevo perché lo volevo fissare, per farlo diventare vero. O l'ho scritto perché lo volevo buttar fuori, così da poterlo in qualche modo evacuare. Il pensiero era questo qui:

"Io posso benissimo evitare di uscire di casa, d'ora in poi"

Ed è solo in questo momento, in questo preciso momento del giugno 2025, mentre riprendo in mano per la prima volta il blog da allora, che mi rendo conto che forse quel pensiero aveva a che fare con quello che stavamo vivendo. Che effettivamente erano mesi che non "uscivo di casa" perché me l'avevano imposto. Con tutte le mie reazioni del caso.

Ma stava diventando in qualche modo non solo accettabile. Stava diventando allettante.

C'è un post nelle bozze, che ho riscoperto ora e non ricordavo di aver scritto - anche perché l'ho lasciato a metà - un post che non vedrà mai la luce semplicemente perché non mi ricordo come sarebbe dovuto andare avanti. Un post in cui avrei raccontato di aver comprato il Tractatus di Wittgenstein: avrei ricominciato a studiare. Che è il modo migliore per starmene chiusa in casa senza sensi di colpa: in fondo, sto studiando.

A novembre 2020 avevo formalizzato il pensiero che starmene a casa a occuparmi di figli e marito, a ritinteggiare periodicamente le pareti e a leggere tomi di filosofia - ma chissà poi perché proprio Wittgenstein... il post è lì sospeso con la promessa di raccontarlo, ma non lo fa. E io adesso non me lo ricordo più - poteva essere un futuro accettabile. Desiderabile. Studiare Wittgenstein e, probabilmente, leggere gialli e risolvere puzzle. Con il desiderio - questo esplicitato nel post - di non cedere poi alla bulimia delle serie tv. 

Come è andata?

Wittgenstein non l'ho letto più letto. Ho pure riscoperto di possedere il Tractatus qualche tempo fa, domandandomi "ma quand'è che l'ho comprato?". Adesso il quando lo so. Mi ricorderò mai il perché? Difficile...

Ma uscire di casa sono uscita, eccome. Nonostante io abbia probabilmente peggiorato la mia inclinazione alla fruizione bulimica di serie tv (l'horror vacui che mi coglie ogni volta che finisce una stagione di "Case a prima vista" è un segno piuttosto preoccupante della radicalità delle mie dipendenze), qualcosa di nuovo è accaduto, di lì a pochi mesi. E il mio proposito di sottrarmi dalla relazione con esseri umani con i quali non ho stretti rapporti di parentela si è esaurito. 

Scavallate la vacanze di Natale, per una serie di circostanze per altro strettamente correlate con la situazione pandemica ancora in atto, nel gennaio del 2021 sono uscita dalla porta di casa, eccome. Ho iniziato ad uscire di casa tutte le mattine, ho lasciato alle spalle la porta di casa per varcare altre porte. Quelle di una scuola. Quelle di tre classi.

Ho ricominciato ad insegnare.

Che poi doveva essere solo per tre giorni. Doveva essere un "le classi sono scoperte da diverse settimane, mentre troviamo qualcuno che venga in modo stabile vai un po' a parlare coi ragazzi di filosofia così si ricordano che cos'è".

Lo stato d'animo con cui ho varcato quella prima porta - e quella delle altre classi dopo la prima - probabilmente è assimilabile a quello di chi va per la prima volta sul palco di Sanremo. Per me non era solo una lezione, ma una performance. Sapevo più o meno a memoria tutto quello che avrei detto, avendo ripassato più e più volte nelle notti - ovviamente insonni - precedenti tutto il discorso, anche gli ipotetici botta e risposta che mi aspettavo. Anche le battute che avrebbero alleggerito l'atmosfera - avrei dovuto rompere il ghiaccio con Kant, non proprio una partenza in discesa. Il che la dice lunga sull'origine del mio progetto di isolamento di sole poche settimane precedenti: la presunzione. Non volevo uscir più di casa per la presunzione di una che quando lo esce lo fa sentendosi sul palco dell'Ariston, solo perché sta facendo quel che fanno miliardi di persone ogni giorno in tutto il mondo. Solo perché fa quel che fanno tutti. L'ultima nascosta - manco più di tanto - presunzione di "se lo faccio, lo faccio alla perfezione".

Quindi, ovviamente, non lo faccio. Resto nel retropalco, se uscissi sarei bravissima, ovviamente. Ma facciamo che no.. che resto di qua. In fondo, ho già dato... (ma quando???)

E invece la classe non è un palco e te ne accorgi in fretta. Non erano conclusi i tre giorni previsti e avevo già capito che la materia che maneggiavo facendo lezione non era la storia della filosofia - men che meno la storia della storia - ma che la materia delle lezioni sono gli studenti. Che il contenuto di quello che si fa in classe sono quelle personcine lì, costrette, per lo più loro malgrado, ad avere a che fare con la mia presunzione. Io insegnando Kant racconto me, e imparo loro. Insegno loro, e imparo me... Kant è l'accidente attraverso cui le nostre umanità si incontrano.

E a quelle facce la mia performance non poteva importare di meno. Grazie al Cielo. 

E così sono scesa dal palco, ma senza starci dietro. Ho iniziato a guardare anche io lo spettacolo, che ne vale la pena.

Anche perché, con la mia performance io mi ero posta l'obiettivo di sintetizzare in un'ora tutte le tematiche dei mesi precedenti. Sono uscita dalle classi, una dopo l'altra, sfinita, sudata, senza voce. Ho blaterato per tre ore di fila. 

E l'ho amato.

Ma l'ho amato non per il rimbombare della mia voce - che poi mi sarei accorta in quei momenti di (quasi) involontaria autocelebrazione ad un certo punto sembra rimbalzare da una parete all'altra della stanza, raramente incrociando un recettore attivo nel suo percorso. 

Ho amato essere lì e capire che non avevo ancora capito niente, che dovevo ricominciare da zero. Che ogni volta si ricomincia da zero, sperando e pregando che quella performance venga interrotta da un imprevisto tale da farti scoprire cosa c'è davvero dentro quello che stai tentando di fare.

Che nessun filosofo è interessante in sé - no, nemmeno Aristotele - se non perché si aggancia, si avviluppa su qualcosa di vivo, ha a che fare con loro che ascoltano, e quindi inevitabilmente con me che parlo.

Cosa stiamo facendo? Perché val la pena? A cosa serve?

Sono iniziati così i successivi anni di storia - a singhiozzo - per cui ho insegnato per tutto quell'anno, e quello dopo. E poi ho dovuto smettere. E poi ho potuto riprendere.

E adesso son qui, 50enne precaria, che domanda all'IA (che il 30 ottobre 2020 avrei detto essere un film discutibile tratto dalle novelle del miglior scrittore di fantascienza di sempre, e adesso invece mi viene da specificare "perplexity, in questo periodo sto usando perplexity, chatgpt non lo uso più") quante possibilità ci siano di essere chiamata dalla stessa scuola in cui ha fatto supplenza quest'anno.

Discrete possibilità, dice Perplexity. Ma cosa ne sa?

Anche se le possibilità rasentano lo zero, io son qui che penso a cosa farò l'anno prossimo. Se sarà mai possibile superare il capolavoro di quest'anno - non mio, sia chiaro, io ho solo assegnato un compito generico con scopi ambiziosi ed altri, che ovviamente sono andati per la loro strada - il capolavoro, dicevo, che tocca il vertice delle mie esperienze scolastiche: il libro pop up sulla Critica della ragion pura.

Che sarebbe da pubblicare. Io sicuramente lo comprerei. 

Ma io già lo possiedo, edizione speciale, limitata. Una sola copia, comprensiva di quei refusi che la renderebbero unica anche se ce ne fossero mille.

Ma ce n'è una sola. La mia.

Hanno tagliato, incollato, disegnato, colorato. Inventato "parabole" sull'Io penso e sull'analitica trascendentale.

E io mi chiedo "ma perché non fanno tutti i professori di filosofia?"

Ovviamente questo post non è finito. In realtà non è nemmeno iniziato.

Ma ovviamente, devo uscire. Perché non sono rimasta, alla fine, chiusa in casa.E allora questo lo pubblico così, non finito, quasi nemmeno iniziato. Tanto è solo una storia. Qualcosa da raccontare. 

Prima o poi continuerò.



venerdì 30 ottobre 2020

Diario di Bordo: Quarantena

 Giusto ieri la Polpetta era rientrata a scuola dopo un periodo di quarantena fiduciaria, per la positività di una compagna di classe. E giusto oggi la Meraviglia comincia la sua quarantena, vista la positività di una maestra. 

Ieri è stata una giornata positiva fino al primo pomeriggio: un paio di incontri belli, qualche notizia attesa da tempo... Poi di colpo tutto ha preso un'altra piega: si è bloccata la lavastoviglie, si è incastrato lo scolapiatti nel cassetto delle pentole (per estrarlo abbiamo quasi dovuto spaccare il cassettone) e in tutto ciò è arrivata la comunicazione che la maestra della Meraviglia è risultata positiva al tampone (grazie al Cielo asintomatica). Che poi, la Santa Maestra della Meraviglia è stata a casa al primissimo sospetto, già giovedì scorso, per cui si tratta di una quarantena che è per metà già trascorsa… però ecco non l'ho presa benissimo. Mi sono proprio arrabbiata astrattamente con "la giornata" che mi aveva illuso di una positività e mi stava deludendo…

Ho reagito, come spesso faccio, cercando una consolazione a base di carboidrati (c'erano ancora in giro avanzi del compleanno dell'Elfo…), poi mi sono ricordata che non di solo pane vive l'uomo (e ho pensato che anche la Nutella non sia sufficiente come accompagnamento, né la stupefacente crema di pistacchio che ho comprato un paio di settimane fa dal mio contadino di fiducia). Non che la filosofia da parte sua sia in grado di intervenire nei momenti di scoramento emotivo… almeno, non è esperienza che mi sia capitata di recente. Così, ho semplicemente atteso che l'insofferenza per le cose svanisse, a volte è proprio necessario né cedere alla negatività, ma neppure cercare di "tendere i nervi", occorre semplicemente "lasciar andare…". Pian piano le cose si sono messe a posto. Il Sant'Uomo, aiutato dal Pianista, ha sistemato il cassettone. Con le abilità trasmessemi per osmosi (telefonica) dall'amica Barbara, sono persino riuscita a sistemare la lavastoviglie (il solito nocciolino di limone incastrato nel filtro), insomma, pian piano le cose andavano in fila. 

giovedì 29 ottobre 2020

Diario di bordo: compagnia

 Sembra paradossale, in questo momento storico, ma mai come ora sono consapevole della necessità della compagnia che sostiene le mie giornate. La novità è che la compagnia non è fatta da una immagine di "accompagnamento", che sia strettamente fisico/spaziale o anche semplicemente psicologico, alla persona. 

Non ho bisogno di qualcuno che mi stia accanto mentre rassetto casa (anzi, in quelle circostanze chi ronza intorno è anche fastidioso), né è indispensabile poter "riversare" su qualcun altro esplicitamente i timori o le fatiche quotidiane. Mi rendo conto che il concetto di compagnia evolve in me ad un livello altro, che ha sempre meno a che fare con la "prossimità" fisico/spaziale, facendo riferimento ad un legame molto più forte.

mercoledì 28 ottobre 2020

DIARIO DI BORDO: CHIAMATI

Apro dopo settimane e settimane blogger, e cosa trovo? La bozza di un post che sarebbe dovuto uscire il 28 aprile (data del compleanno della Viaggiatrice per caso), lasciato lì a metà perché... perché non lo ricordo nemmeno più. Meglio così, non era affatto un bel post... perché ad un certo punto del periodo di "chiusura" ero arrabbiata, delusa, anche un po' lamentosa.

Non si vedeva una luce. Poi la luce è arrivata - come sempre accade, lei arriva - e la nostra famiglia ha trascorso il periodo estivo forse più bello di sempre. E poi la lenta ripresa, le scuole che aprono, una dopo l'altra, con un significativo caotico tempo di "assestamento" per gli orari scaglionati di tutti. Chi entra, chi esce, c'è da andare a prendere qualcuno, altri finalmente si possono spostare in bicicletta: autonomia e libertà!

giovedì 23 aprile 2020

Diario di bordo: forse non sto capendo qualcosa



Son giorni che ci rifletto, e stamattina che mi sono alzata ben prima della truppa forse ho il computer libero un tempo sufficiente per mettere giù le mie riflessioni.
Io non sto capendo qualcosa, forse.
Leggo di task force, di mascherine prodotte di millemila generi, colori, materiali, fogge e tessuti. Visioni da film distopico su lastre di plexigras da mettere ovunque: al ristorante, in spiaggia, addirittura tra i banchi di scuola... Valanghe di nostri denari per mandare in giro droni che vadano a pescare eremiti che prendono il sole in solitaria, e multe date a desta e manca a chi va a prendere la moglie fuori dal turno in ospedale, oppure porta la spesa agli anziani genitori.
Sulla Santa Messa interrotta dai carabinieri non spenderò parole, perché quelle che ho non sono adeguate al registro di questo blog.

sabato 18 aprile 2020

Diario di bordo: riflessioni

La quarantena sta dando un sacco di spazio alla riflessione. Intanto abbiamo quasi finito il primo sacco da 15kg di farina, che quando l'ho visto ho pensato sarebbe durato per sempre. D'altra parte a mangiare in nove tutti i giorni, è durato più che a sufficienza.
Oggi il sant'uomo me ne ha procurato uno da 25kg, così giusto per star tranquilli. Erano anni che desideravo comprare queste farine per pizzerie, ma ho sempre pensato fosse esagerato. Ora che ne ho avuto la "scusa" penso che ci farò l'abitudine, anche perché decisamente conveniente nel prezzo!
Quando abbiamo acquistato quel primo pacco extra large anche per noi, ricordo benissimo che avevo pensato saremmo stati duri e puri: chiusi in casa tutti quanti, con una sola spesa settimanale - o anche ogni dieci giorni. Attenti e precisi nel seguire la didattica a distanza. Cittadini modello, insomma.

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